La macellazione del maiale

Pietro Gaviraghi
Aldo Quirico
Soci fondatori

Fino a una decina di anni fa la Cooperativa si è occupata di far macellare direttamente i maiali per la produzione degli insaccati da vendere allo spaccio, riuscendo nei periodi di maggior consumo a macellare oltre venti suini in un anno. Il successo dell'iniziativa fu maggiore negli anni '50 quando la popolazione agratese si trasformò da prevalentemente contadina a industriale, non avendo quindi più la possibilità di occuparsi direttamente di questa pratica, mantenendo però ancora per vari anni le abitudini alimentari precedenti.

Per i contadini "masà el purcel" era un evento importante nell'arco dell'anno, che segnava la vita familiare anche nei mesi seguenti. La macellazione avveniva normalmente nel periodo da novembre a gennaio, molto raramente a febbraio, in quanto la successiva stagionatura degli insaccati richiedeva diversi mesi a bassa temperatura e quindi necessariamente doveva avvenire nel periodo invernale.

Ogni famiglia contadina in genere allevava uno o due maiali, a seconda delle dimensioni del nucleo familiare che, essendo di tipo patriarcale, poteva facilmente arrivare anche a 20 - 30 persone, a partire dal capofamiglia, il "regiù", la di lui moglie, la "rigiura", cui si aggiungevano i figli e le relative mogli, infine i numerosi nipoti.
 
Il maialino veniva acquistato appena nato, verso novembre (rinomata a riguardo al fiera di S.Caterina a Gorgonzola), oppure già grandicello, il cosiddetto "magrone", che poi veniva tenuto all'ingrasso all'interno dello "stabièl" fin verso la fine dell'anno quando veniva chiamato il macellaio.

Il "masulàr" veniva presso la casa del contadino con tutta la sua attrezzatura riposta all'interno di un "cason" di legno che aveva poi, durante la lavorazione, la funzione di raccoglitore all'interno del quale venivano impastati la carne e il grasso, tritati con gli altri ingredienti. Nella consuetudine al "masulàr" competeva di portare i coltelli, il tritacarne, l'insaccatrice, la
pelle o "busèca", ed infine le spezie cui si aggiungevano il sale e aglio, forniti invece dal contadino.

La lavorazione delle carne avveniva all'interno della cucina dove, adagiata sul tavolo veniva passata nel tritacarne a manovella azionato a mano, L'impasto veniva infine inserito nell'insaccatura che, sempre azionata a mano, spingeva, mediante un meccanismo a vite senza fine l'impasto nella "busèca", costituita da visceri di vacca. Legati all'estremità con una cordicella, gli insaccati venivano poi appesi a sgocciolare ed asciugare davanti al camino acceso.

L'insieme di queste operazioni durava in genere un'intera giornata e ad essa partecipava con entusiasmo l'intera famiglia. Il "masulàr" alla fine veniva pagato in denaro in rapporto al peso del maiale. Un'altra spesa che doveva essere affrontata in questa occasione era la tassa che andava pagata al dazio per la macellazione e quindi, se il contadino non disponeva della liquidità sufficiente, qualche giorno prima provvedeva alla vendita di qualche gallina per realizzare il denaro contante necessario.

Salami, salamini, "ciguten", "bogie", mortadelle di fegato e vaniglia, venivano trasferiti al piano superiore, nella camera da letto dove venivano appesi ai chiodi, infissi nei travetti in legno del soffitto. Le fredde camere da letto di allora si prestavano perfettamente allo scopo, data la mancanza del riscaldamento, ma soprattutto grazie alla permanenza delle persone, che fornivano quel giusto grado di umidità necessario per il processo di stagionatura.
"Masà el purciel", un rito della tradizione rurale che la Cooperativa ha mantenuto fino a pochi anni fa. La stagionatura dei salumi avveniva direttamente all'interno della "stanza", la camera da letto che, insieme alla "cà", la cucina, costituiva la casa contadina.